Coltano, la messa del prete di Forza Nuova ‘Contro gli immigrati serve una crociata’

Don Tam

Don Giulio Maria Tam

A fine cerimonia, perfino Pietro Ciabattini, che dal 1996 insieme a un plotoncino di anziani ex repubblichini organizza la commemorazione del campo di prigionia alleato a Coltano, mette le mani avanti: «Delle cose che dice questo prete io non condivido quasi nulla». Nessun incidente fra giovani hard-right di Forza Nuova e antifascisti ieri mattina nella tenuta a un passo da Camp Derby a Pisa.

Sotto i pini e ai bordi del campo che dal luglio al settembre del 1945 ospitò 35mila prigionieri italiani e tedeschi, insieme a un goccio di libeccio, si aggirano sussurri e sguardi imbarazzati. Le invettive contro i gay, l’ ossessione per «l’ invasione islamica» e gli inviti a «intraprendere una nuova crociata contro gli sbarchi di immigrati che minacciano le radici giudaico-cristiane dell’ Europa» che don Giulio Maria Tam distilla alla sua sparuta platea piacciono soprattutto alle falangi locali di Roberto Fiore, una quindicina di ventenni educati a un repertorio di braccia tese, «boia chi molla» e sentimenti antisemiti.

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Immigrati, Bossi attacca il Vaticano: «Che le porte le apra il Vaticano che ha il reato di immigrazione, che dia lui il buon esempio»

Umberto Bossi

Umberto Bossi

Umberto Bossi giudica come «parole con poco senso» quelle che i vescovi hanno usato per commentare l’ennesima tragedia del mare, che ha coinvolto un’ottantina di immigrati eritrei naufragati al largo di Lampedusa.
«Che le porte le apra il Vaticano che ha il reato di immigrazione – rilancia Bossi dal Cadore – che dia lui il buon esempio».

Secondo Bossi con l’azione del governo gli immigrati «partono molto meno di prima». Il leader del Carroccio ha aggiunto quindi che «bisogna riuscire a fermarli alla partenza se no si prosegue con l’avere un sacco di morti». Per Bossi, infatti, c’è il rischio per troppa gente di mettere a repentaglio «la propria vita per niente perchè quando arrivano qui non trovano posti di lavoro».

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Lecce, nuova condanna per Don Cesare Lodeserto: chiedeva rimborsi per immigrati fantasma

Cesare Lodeserto

Cesare Lodeserto

L’immigrazione clandestina è un affare. È questo il succo della sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, che condanna monsignor Cesare Lodeserto a rimborsare allo Stato 133.651 euro, la metà di quanto richiesto dal procuratore, avuti per «maggiori prestazioni a favore degli immigrati rispetto a quelle effettivamente rese».

Nel mondo dell’immigrazione Lodeserto non è proprio uno sconosciuto: condannato (pena sospesa) nel 2005 per simulazione di reato; condannato per violenza privata e lesioni aggravate nei confronti di 17 immigrati che nel novembre 2002 avevano tentato la fuga dal Cpt di San Foca a Lecce; arrestato nel 2005 con l’accusa di sequestro di persona e di abuso dei mezzi di correzione.

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Don Cesare, richiesta conferma condanna per abusi

Don Cesare

Don Cesare

Ha chiesto la conferma della condanna di primo grado il procuratore generale Giuseppe Vignola, nel processo in cui è imputato per le accuse di minacce e abuso dei mezzi di correzione.

In primo grado venne inflitta una pena di un anno e quattro mesi, sospesa con la condizionale.

Il procuratore generale, nella sua requisitoria, ha elogiato l’operato dei magistrati “su una vicenda che ha sollevato il coperchio su una storia squallida”.

“Gli immigrati – ha precisato Vignola – venivano trattati come animali” in un centro definito “un canile”.

Lodeserto è accusato di non aver impedito che all’interno del centro di prima accoglienza alcuni ospiti venissero colpiti con calci, pugni, spintoni e schiaffi.

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