
Il libro sulla storia di Philomena Lee
Figlio di una ragazza madre, non sposata, finisce per essere venduto dalle suore a facoltosi americani. La triste storia di Philomena Lee, raccontata dalle pagine del Guardian, ha inizio nell’Irlanda dei primi anni ’50.
All’età di 18 anni, Philomena incontra un ragazzo ad una fiera autunnale. «Avevo appena lasciato la scuola del convento,» racconta. «Ci andai quando morì mia madre, a sei anni e mezzo, e ne uscii a 18 anni senza avere la minima conoscenza dei fatti della vita. Non sapevo da dove provenissero i bambini…»
Quando la sua gravidanza divenne palese, la sua famiglia la “rinchiuse” dalle suore. Dopo la nascita di suo figlio, Anthony, la madre superiora minacciò Philomena con la dannazione eterna se avesse mai proferito parola sul suo “colpevole segreto”. Terrorizzata, lo ha serbato in sé per oltre 50 anni.
Solo nel 2004, infatti, è riuscita a raccontare la vicenda ad una sua amica, Jane, che le consigliò di chiedere aiuto al giornalista Martin Sixsmith.
«Per tutta la mia vita non avrei dovuto parlarne. Eravamo molto intimiditi, era un così grande peccato. Era una cosa terribile avere un bambino fuori dal vincolo matrimoniale… Per tutti questi anni mi sono sempre ripromessa di raccontarlo a qualcuno, ma l’anatema era così radicato dentro di me che non ci ero mai riuscita.»
Da un incontro casuale con il giornalista è iniziata la ricerca del figlio perduto di Philomena. «Accettai un primo incontro,» ha detto Martin Sixsmith, «e mi sono ritrovato in un’indagine di cinque anni per un uomo che non avevo mai incontrato.»
«Ero intrigato dal conoscere il motivo dell’insistenza delle suore sull’importanza del silenzio e della segretezza.»
Philomena era una delle migliaia di donne irlandesi mandate nei conventi negli anni ’50 e ’60, portate via dalle loro case e famiglie perché la Chiesa Cattolica sosteneva che le madri single erano moralmente degenerate a cui non era permesso allevare i propri figli.
Tanto era il potere della Chiesa, e dell’arcivescovo John Charles McQuaid, che lo stato si inchinò davanti alle sue esigenze cedendo la responsabilità delle madri e dei loro figli alle suore.
Per loro non era solo una questione morale e di peccato, ma anche una di sterline, scellini e penny. Nel periodo in cui nacque Anthony, il governo irlandese pagava alla Chiesa Cattolica una sterlina a settimana per ogni donna ospitata e due scellini e sei penny per ogni bambino. E non è tutto.
Dopo il parto, le ragazze potevano lasciare il convento solo se loro o le loro famiglie pagavano alle suore 100 sterline. Era una considerevole somma per l’epoca e quelle che non potevano permettersi il pagamento del “riscatto” – la vasta maggioranza – erano trattenute al convento per tre anni a lavorare nelle cucine, nelle serre, nelle lavanderie o a fare perle per i rosari e artefatti religiosi, mentre la Chiesa tratteneva i profitti generati dal loro lavoro.
Ancor più crudele del lavoro, era il fatto che le giovani madri dovevano occuparsi dei loro figli, sviluppando affetto e legame materno che veniva lacerato alla fine dei tre anni.
Come a tutte le altre ragazze, anche a Philomena venne fatto firmare un documento di rinuncia, accettando di abbandonare il proprio figlio e pronunciando un giuramento: «cedo per sempre ogni diritto su mio figlio e lo affido a Sorella Barbara, Superiora dell’abbazia di Sean Ross. L’intento è permettere a Sorella Barbara di rendere mio figlio disponibile all’adozione ad ogni persona che lei consideri appropriata, in Irlanda o all’estero. Mi impegno inoltre a non tentare mai di vedere, interferire o reclamare questo bambino in futuro.»
Philomena non voleva firmare quel terribile documento. «Non volevo che se ne andasse,» racconta la donna, «le ho implorate, le ho pregate di lasciarmi tenere mio figlio. Nessuna di noi voleva dare via i propri figli, nessuna. Ma cosa potevamo fare? Ci rispondevano solo che “dovevamo firmare quei documenti”.»
Il bambino le venne portato via nel natale del 1955. Uscita dal convento, la donna vi è tornata molte volte tra il 1956 e il 1986 in cerca di notizie di suo figlio. Le suore hanno sempre rifiutato di aiutarla, brandendo il documento di rinuncia come motivo del diniego.
Il giornalista Martin Sixsmith aveva a disposizione solo la data di nascita e il luogo e Philomena aveva saputo che suo figlio era stato portato negli Stati Uniti.
La sua ricerca lo ha portato sin da subito a scoprire che la gerarchia Cattolica irlandese era coinvolta in quello che era un traffico illecito di bambini. Dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni ’70, le migliaia di bambini affidati alle cure dei conventi venivano considerati proprietà stessa della Chiesa.
Con o senza consenso delle loro madri, venivano venduti al maggior offerente. Ogni anno, a centinaia venivano spediti a coppie americani che pagavano “donazioni” (in realtà compensi) alle suore. Pochi, se non assenti, i controlli sull’affidabilità delle famiglie adottive. L’unica condizione imposta dall’arcivescovo McQuaid era che le famiglie dovevano essere composte da Cattolici praticanti.
Quando le voci sul ruolo della Chiesa sono emersi decenni dopo, molti dei documenti incriminanti sono spariti in circostanze misteriose ed anche oggi la Chiesa protegge ferocemente i suoi archivi delle adozioni.
Doc e Marge Hess di St Louis, Missouri, avevano tutti i requisiti per adottare Anthony: erano buoni Cattolici e il fratello di Marge era vescovo. Inizialmente, dietro loro desiderio di adottare una bambina, fu loro offerta Mary McDonald ma quando, grazie a quest’ultima, conobbero il figlio di Philomena rimasero estremamente colpiti dall’affetto spontaneo dimostrato loro dal bambino.
Adottati entrambi, tornarono negli Stati Uniti e fu chiamato Michael Hess. Studente modello, attraente e dotato, divenne un avvocato di successo fino ad essere nominato responsabile legale di George Bush.
Ma Micheal era gay. Era costretto a nascondere la sua sessualità in un partito che era rabbiosamente omofobico. Era tormentato dalla doppia vita che conduceva e dal fatto che il suo lavoro era collegato ad un partito che vittimizzava i suoi amici ed amanti.
Era anche tormentato dall’assenza della sua vera madre e dal senso di impotenza di orfano: non sapeva da dove veniva, non sapeva chi era o come avrebbe dovuto vivere. Non si sentì amato dai suoi fratelli e da suo padre, si colpevolizzava per la sua sessualità.
Ma era amato dalla sua madre adottiva e dalla bambina che fu adottata insieme a lui, che divenne sua amica e sorella. Ma non trovò mai pace.
Tornò al convento, prima nel 1977 e poi nel 1993, pregando le suore di aiutarlo a trovare sua madre. Fu mandato via.
Al suo ritorno negli Stati Uniti si è immerso nell’alcol, nella droga e nella sfrenata indulgenza sessuale. In uno dei suoi weekend di perdizione venne contagiato di HIV.
Vedendo la sua salute deteriorarsi, Michael è tornato nel 1993 al convento per fare un ultimo appello alla bontà delle suore. Ma gli fu nuovamente negato aiuto. Non gli fu neanche detto che i suoi zii vivevano a pochi kilometri dal convento.
Nella disperazione, propose alla madre superiora di essere almeno sepolto nel convento lasciando un epitaffio che avrebbe permesso a sua madre di trovarlo.
Due anni dopo, nel 1995, Michael morì. Grazie ai necrologi pubblicati nei giornali statunitensi, Martin Sixsmith è riuscito a ricostruire la storia del figlio perduto di Philomena Lee.
Ma oltre a questo, il giornalista ha scoperto le altre migliaia di “orfani perduti” le cui vite sono state cambiate per sempre dalla cupidigia e dall’ipocrisia di Chiesa e Stato. Come Michael, molti di loro stanno ancora cercando i loro genitori e, attraverso di essi, la loro identità.
Ora Philomena incolpa sé stessa per quanto accaduto. «Se solo, se solo… Maledico me stessa ogni volta che ci penso. Se solo ne avessi parlato prima, forse non sarebbe…»
«E’ il maggior rimpianto della mia vita e devo conviverci. E’ colpa mia e ora è il mio dolore.»
2 commenti
Comments RSS TrackBack Identifier URI
non crediate che l’Irlanda sia un caso isolato. Michael Hess Lee è almeno diventato adulto. Mi domando a quanti di questi bambini è stato impedito. Quanti sono stati fatti sparire. Una rogatoria internazionale sarebbe opportuna. Anche il parlamento europeo dovrebbe darsi una mossa. Nel frattempo mi auguro che i tanto sbandierati progetti per fare saltare in aria il Vaticano e compagnia bella prendano corpo ed abbiano successo. Chi pensa di difendere gente come quelle suore maledette e schifose, non sta di certo dalla parte del Bene.
Ahhh le sane radici cristiane!
Sono contro i roghi ma quando vedo le suore a volte non mi trattengo! Non parliamo quando vedo preti e vescovi! Peccato che Burzum sia ancora in prigione LOL