Aprile 1994. Nelle strade Rwandesi è un giorno come un altro. La gente nelle strade si incontra, si saluta. Scese il silenzio nell’Aprile Rwandese del 1994, tutto sembrò fermarsi per un attimo.

Genocidio Rwandese
Un attimo per voltarsi, un attimo perché le strade si tingano di un innaturale rosso sangue, uomo contro uomo, senza più alcun legame, senza più alcuna parentela. Non esistono più amici, non esistono più coniugi – solo l’etnia deciderà lo schieramento di ogni singolo individuo. I machete affondano impietosamente nelle carni straziate di coloro che solo pochi istanti prima erano compagni.
Così gli Hutu fondamentalisti, fomentati dagli Interahamwe, iniziarono il genocidio del Rwanda, una ingiustificata e ingiustificabile caccia all’uomo perpetrata contro Tutsi e Hutu moderati. Nel giro di cento giorni, ne verranno trucidati più di un milione e tra i loro carnefici, incredibilmente, spiccano alcuni sacerdoti e suore di confessioni cristiane.

Consolata Mukangango
Suor Gertrude (Consolata Mukangango) e Suor Maria Kisit (Julienne Mukabutera), monache dell’ordine Benedettino, esercitavano nel convento di Sovu nel Butare. Il 17 Aprile del 1994 in molti vi cercarono rifugio e furono divisi in quattro gruppi: pellegrini, famiglie di alcune suore di etnia Tutsi, personale del convento con relative famiglie e, infine, i fuggitivi che tentavano di sottrarsi al massacro.

Julienne Mukabutera
L’ultimo gruppo, per ordine di Suor Gertrude – che allora era la Madre Superiora -, venne dirottato verso il vicino Centro di Assistenza Sanitaria “per non disturbare le attività del convento e prevenire la distruzione dell’edificio” e rifiutò persino di fornir loro del cibo anche se le provviste erano più che sufficienti.
Le due suore amiche del leader della milizia, Emmanuel Rekerhao, furono da lui stesso avvisate che il Centro di Assistenza Sanitaria sarebbe stato attaccato a breve. Difatti, il 22 Aprile iniziò l’ecatombe.
Durante i massacri, tra i 500 e i 700 fuggitivi cercarono riparo nel garage del centro. Fu deciso, allora, di bruciarli vivi. Le due benedettine portarono a termine personalmente questa “missione” con due taniche di benzina: Suor Kisito le vuotò nel garage e appiccò il fuoco. In quel solo giorno persero la vita circa 7000 persone.
Tre giorni dopo Rekerhao tornò con i suoi uomini e le due Sorelle di Sovu, evidentemente non ancora soddisfatte del loro operato, gli chiesero di eliminare quei fuggitivi ancora in vita in quanto “non c’era cibo a sufficienza per tutti”. Suor Gertrude li spinse a lasciare il convento causando la morte di altre 600 persone in un massacro da cui solo le famiglie delle suore Tutsi furono risparmiate.
Nonostante tutto questo orrore, il 6 Maggio la stessa suora consegnò nella mani della milizia i restanti fuggitivi e il sindaco del villaggio. Anche questi ultimi sopravvissuti furono brutalmente trucidati.
Nel 2001 furono entrambe condannate per genocidio a 15 anni di prigione.

Athanase Seromba
Il 12 Marzo 2008, invece, arriva la condanna all’ergastolo per padre Seromba, accusato del massacro in una chiesa di 1500 tutsi. La storia è agghiacciante: mentre i rifugiati erano intenti ha pregare, ha chiuso a chiave la porta dell’edificio e ha ordinato all’autista di un bulldozer di abbaterlo mentre gli Hutu sparavano e lanciavano granate dalle finestre.
Seromba riuscì a fuggire in Italia e, grazie alla copertura di amici preti e delle gerarchie vaticane, trovò rifugio a Prato, cambiò nome e continò a celebrare i sacramenti come niente fosse accaduto.
Riconosciuto e denunciato, riuscì ad evitare l’estradizione – secondo quanto afferma Carla del Ponte, l’allora procuratrice del Tribunale dell’Onu – grazie a pressioni esercitate dal Vaticano sul governo italiano.
Probabilmente sicuro del’influenza vaticana si costituì, sostenendo la sua innocenza. Le prove e le testimonianze, però, sono state schiaccianti ed è stato condannato nonostante le forti pressioni del Vaticano per assolverlo. Se non si fosse costituito, molto probabilmente sarebbe ancora impunito.
Tra gli altri vale la pena ricordare:
- 1998 – Jean François Kayiranga e Edouard Nkurikiye, sacerdoti Cattolici, condannati a morte per aver spinto 2000 tutsi a cercar rifugio nella loro chiesa prima di essere attaccata dagli Hutu. Subito dopo, hanno fatto in modo che l’edificio fosse raso al suolo con i corpi all’interno.
- 1999 – Il Vescovo Cattolico Augustin Misago viene arrestato e accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. Nel 2000 verrà rilasciato dietro pressioni vaticane.
- 2005 – Guy Theunis, sacerdote Cattolico di origine Belga, viene arrestato per aver incitato alle atrocità pubblicando alcuni articoli nel suo giornale. Dietro continue pressioni, è stato rimpatriato in Belgio dove il processo continuerà il suo corso. Intanto riceve un premio per la pace da un settimanale edito da una chiesa Belga.
- 2005 – Thaddée Ntihinyurwa, Arcivescovo Cattolico, è stato accusato di esser membro di uno “squadrone della morte” e di aver ordinato a circa 600 persone di uscire da una chiesa dirigendoli all’interno di uno stadio in cui furono poi uccisi dagli Hutu. Nel Dicembre 2007 è stato visto predicare nella cattedrale di San Michele a Kigali.
- 2006 – Wenceslas Munyeshyaka, sacerdote Cattolico fuggito in Francia, è stato condannato all’ergastolo per aver commesso abusi sessuali ed aver assistito la milizia Hutu nel genocidio. La polizia francese, dopo averlo arrestato, è stata costretta al rilascio perché il mandato di cattura internazionale “non può essere eseguito”, secondo quanto affermato da una corte d’appello francese.
- 2007 – Hormisdas Nsengiman, rettore del collegio Cristo Re, viene accusato di genocidio, cospirazione per commettere genocidio, crimini contro l’umanità, sterminio e collaborazione per aver ordinato agli studenti di cooperare con le milizie Hutu. Il processo è ancora in corso.
Tra gli altri condannati figurano Padre Laurent Ntimugura, Padre Emmanuel Rukundo, Suor Theophister (Theophister Mukakibibi) e il pastore Elizaphan Ntakirutimana (avventista).
Questa fondamentale premessa – e fin troppo breve per la gravità dell’argomento trattato – introduce all’articolo scritto da Oscar Kimanuka sul “The EastAfrican” il 28 Aprile 2008.
Apologise to Rwanda too
Scuse anche al Rwanda. Questo è quanto chiede l’opinionista nel suo breve, ma significativo articolo.
«Le scuse negli Stati Uniti dovrebbero essere seguite da quelle al Rwanda – afferma Kimanuka -, dove più di un milione di persone sono state sterminate dalle milizie Interahamwe con l’aiuto degli ex-Far (Forze Armate Rwandesi) e di alcuni membri del clero».
Un gesto sulla carta semplice, ma che nella realtà è ben lungi a venire.
«Il Papa sa che i membri della fratellanza Cattolica furono guidati verso missioni assassine dai loro Pastori nella curia. Hanno progettato come coinvolgere bambini, donne e uomini in atti di genocidio inclusi abusi sessuali di ragazzine e donne. Alcuni di questi atti sono avvenuti nelle Chiese del luogo.
Come può un uomo di Dio compiere questi crimini contro l’umanità, oltretutto in luoghi di culto che devono rimanere sacri?».
Una domanda più che legittima. Una domanda, che molto probabilmente non riceverà alcuna risposta.
«Un sopravvissuto del genocidio, un insegnante, ha sottolineato che “assassini e vittime celebrano messa insieme. Ci conosciamo tutti molto bene – sappiamo chi e cosa fece durante il genocidio.
Ma i vescovi hanno deciso di mettere tutto a tacere”
Queste parole la dicono lunga sulle frustrazioni dei sopravvissuti nei quali cresce esponenzialmente la diffidenza verso i leader della chiesa che hanno rifiutato di assumersi le responsabilità di quel che fecero 14 anni fa».
Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
2 commenti
Comments RSS TrackBack Identifier URI
Molto interessante. Visto che in questi giorni sul mio blog sono stati postati commenti deliranti sul genocidio in Ruanda, mi sono permesso di ripubblicare il tuo post, ovviamente con tutti i riferimenti necessari.
Ti ringrazio per l’apprezzamento. Spero che il mio articolo abbia sortito gli effetti sperati.
Saluti